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Perché le persone cercano sempre nuove esperienze di intrattenimento?

Il Blog degli scrittori - Giochi di luci ad Amsterdam

Il Blog degli scrittori – Giochi di luci ad Amsterdam

 

La risposta è tutt’altro che leggera. Quindi, se sei in cerca di un post scritto tanto per intrattenerti, sei nel luogo sbagliato. Se invece vuoi sapere il perché, seguimi fino alla fine del post.

Si, lo so. Suona minaccioso. Ma in realtà è tutta scena. Mentre scrivo, ho la coperta di Snoopy a farmi compagnia (pensa te!).

 

È noto: marketing e flusso emozionale sono due ambiti inscindibili nella relazione tra brand aziendale e persone.
E il nuovo, l’esperienza, l’intrattenimento e le emozioni ne fanno parte.

Jenkins li ha posti a confronto coniando l’espressione economia affettiva e associando parole come Lovemarks e capitale emozionale.

Non è semplice accettare l’accostamento tra sentimenti, emozioni e vendita di prodotti e contenuti. Ma tant’è che la direzione attuale è, da molto tempo, proprio questa. Anche se le attività di un brand (che sia una persona o un’azienda) sono quotidianamente collaterali e non dirette alla vendita, il fine ultimo di tutte le azioni di marketing, creative e esperenziali, è sempre vendere.

In un commento su Facebook al titolo apparso sulla copertina di Internazionale, uscita questa settimana, un utente ha scritto che “il capitalismo è nato insieme all’uomo” mentre il titolo era La fine del capitalismo è cominciata.

Senza entrare nel merito di chi ha torto o ragione, una cosa è certa. Niente è regalato. C’è sempre uno scambio. Può cambiare ciò che si scambia. E questo non vale solo per il capitalismo. Vale tra le persone.

Un esempio paradossale è il volontariato. Conosco chi ogni settimana fa il giro del quartiere, per portare da mangiare a persone che non hanno niente.
E sai cosa mi dicono le persone che lo fanno?

 

Non è quello che noi diamo a loro ma è ciò che loro danno a noi.”

 

Uno scambio bellissimo. Certo sono 2 mondi opposti – capitalismo e volontariato – ma si tratta sempre di valore che circola. Perché siamo umani e ne abbiamo bisogno.

Poi, c’è il capitalismo estremo, il consumismo e l’illusione che i soldi possano sostituire tutto (anche se certamente fanno comodo, eh).

 

 

Il valore dell’intrattenimento 

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Il cuore del marketing è offrire valore.
Si potrebbe parlare di manipolazione del pensiero e delle emozioni – e alcuni la vedono così – ma sarebbe un modo per semplificare la questione.

E, in fondo, i brands

– che comunicano per guadagnarsi un posto nella vita delle persone
– che aspirano a coinvolgerle razionalmente ed emozionalmente
– che offrono esperienze da vivere (anche se solo attraverso lo schermo di un pc, di uno smartphone o di una tv)

dicevo, i brands non si stanno soprattutto offrendo come mezzi per dare a noi la possibilità di giocare con la realtà e farci sentire, se pur momentaneamente, sollevati dal suo peso?

Sotto un certo punto di vista, conversare con le aziende mettendo in campo opinioni, suggerimenti e sentimenti, permette agli individui di sentirsi parte di un processo creativo in cui al centro si trova l’intrattenimento emozionale.

E l’intrattenimento è come un massaggio della mente.

 

Questa si rilassa, allenta le tensioni e, anche se per pochi istanti, riprende fiato dai pesi della realtà. Dalla fine, inevitabile.
Senza andare a scomodare le maglie dell’esistenzialismo, i brands, visti così, sembrano assolvere ad una specifica funzione (ma non solo a questa però):

allentare quella tensione e quel pensiero sottostante che è la consapevolezza dell’esauribilità dell’esistenza.

Argomento pesante? Ma non puoi dire che non te l’avevo detto, eh. Non vorrai mollare proprio ora? Il bello sta per arrivare!

Possiamo influenzare i brands 

Non sto criticando le aziende, ritenendole come “mostri manipolatori” che inducono ad un’illusoria esistenza infinita. Sto cercando, piuttosto, di andare più a fondo e scendere in una dimensione prettamente umana per fare luce su un aspetto che è, forse, difficilmente misurabile come quello di un’istanza profonda: voler percepire che le cose non finiscono.

Secondo la definizione di Jenkins, l’economia affettiva riguarda

una nuova concezione del marketing, ancora poco nota ma in via di diffusione nel mondo dei media, che interpreta la componente emozionale nelle scelte di consumo come una forza motrice che determina ciò che guardiamo e acquistiamo.”

Il sociologo confronta gli studi della tradizione dei cultural studies e le teorie di marketing associate all’economia affettiva: mentre nel primo caso la ricerca vuole comprendere i desideri del pubblico, in particolare dei fan e cosa questi fanno con i media, nel secondo caso si cerca di dare forma a questi desideri indirizzando le attività di consumo.

Dare forma a questi desideri. Quindi, attenzione. Il bisogno di intrattenimento non è imposto. Siamo noi che lo chiediamo. Che vogliamo ascoltare storie. E siamo sempre noi che vogliamo vivere esperienze. E ancora noi che vogliamo condividerle. E che ricerchiamo sempre più informazioni per approfondire ciò che ci interessa.

 

Gli “uomini di marketing non puntano semplicemente a convincere un consumatore a un singolo acquisto, ma a costruire una relazione di lungo termine con un marchio.”

(Jenkins, Cultura Convergente 2006)

 

I professionisti del marketing investono su ricerche finalizzate a comprendere come trasformare le risorse cognitive, emozionali e sociali del pubblico in attività di consumo. Ma, come avverte Jenkins, è necessario non cadere in esagerate paure verso il consumismo. Piuttosto, è il caso di soffermarsi su ciò che sta accadendo da tempo: il pubblico può partecipare e influenzare le decisioni aziendali (ovviamente l’intensità di tale dinamica è variabile e dipende da molteplici fattori) ma, al tempo stesso, le aziende possono cogliere le istanze collettive e indirizzarle a seconda dei loro obiettivi.

È quindi una relazione a doppio senso in cui gli attori, che ne sono parte, si modificano reciprocamente e in cui i termini, economia affettiva e partecipazione, ne sono le parole chiave per capirne i mutamenti.

Eccoci arrivati alla fine. Spero di averti dato uno spunto per pensare, in modo diverso, alla relazione tra brands e persone. Se così fosse, condividilo!

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